LA MONTAGNA, OCCASIONE PERDUTA

Quando, a metà dello scorso decennio, vennero presentati, con tanto di filmati e diapositive, i risultati della ricerca archeologica condotta dalla Soprintendenza sulla Montagna Ganzaria, in molti si erano illusi che quello sarebbe stato il primo passo per lo sviluppo del turismo culturale di San Michele di Ganzaria. Al risveglio il paese ha capito che quel sogno è rimasto chiuso in fondo a un cassetto, divenendo così l’ennesima occasione gettata al vento. Eppure, ricorrendo ai fondi Por 2000- 2006, la Regione siciliana arrivò a stanziare qualcosa come mezzo milione di euro, per ridare dignità storica ai siti di Piano Cannelle e Poggio Pizzuto, sui quali anche il noto archeologo trentino, Paolo Orsi, aveva messo gli occhi ad inizio del ‘900. Ieri mattina, sfruttando la breve tregua meteorologica concessa dall’anticiclone Lucifero, abbiamo raggiunto l’enorme altopiano, dopo aver percorso una decina di chilometri di strade sterrate tortuose. Appena scesi dall’auto, il biglietto da visita che si è presentato davanti ai nostri occhi è stata la staccionata d’ingresso semidistrutta e alcune panche divelte al suolo. Entrando a Piano Cannelle, non è stato possibile percorrere la passerella panoramica (montata a conclusione della campagna di scavi protratta dal novembre 2003 fino a settembre 2004) perché priva delle paratie laterali (sono state smontate e rimossi i relativi bulloni) e con il piano di calpestio al limite della praticabilità. Inoltre, risultavano corrose dall’usura delle intemperie le teche poste sulle tombe riportate alle luce nella necropoli (riconducibile a un periodo che va dal Tardo romano al Bizantino) e le mura del luogo di culto, che durante i secoli venne poi trasformato in una basilica monoabsidata a pianta longitudinale, invase, indecorosamente, dalle erbacce. Stessa incuria negli altri siti di Castellazzo e di Poggio Pizzuto; situazione che si protrae da anni. «Questi siti – spiega il presidente della Pro Loco di San Michele, Giovanni Scirè – sono di notevole interesse, ma, ad oggi, nessun ente preposto si è impegnato per la sua custodia, vigilanza e manutenzione. In passato abbiamo accompagnato dei gruppi, ma per i turisti autonomi diventa quasi proibitivo raggiungerlo. Si parla tanto di sviluppo turistico, pertanto faccio appello agli organi competenti a prendersi cura di questi luoghi, perché il perpetrarsi dell’abbandono e dell’incuria sono foriere solo di ulteriori danni».

Martino Geraci

Pubblicato il 14 Agosto 2017